La mia prima esperienza lavorativa fu presso il ristorante "Al Duomo" di Pesaro in qualità di cameriere, anche se in realtà le mie mansioni si limitavano a portare piatti e bottiglie a tavola, pulire e prendermi quotidianamente cazziatoni per la mia scarsa propensione alla professione. Il proprietario era un conoscente di famiglia che mi assunse per i mesi estivi solo per accontentare i miei genitori. Il ristorante non navigava in buone acque, si rifaceva grazie al pranzo del giuramento dei militari che avveniva una volta al mese. Al tempo esisteva ancora il servizio militare, cosa che ebbi modo di sperimentare anch'io di lì a pochi anni.
Il personale era composto dal titolare che si occupava della sala, mentre in cucina lavoravano sua madre e sua moglie, poi c'era Mario, un pizzaiolo che mi prese a ben volere insegnandomi a fare la pizza. Fu così che stringemmo amicizia e iniziammo a raccontarci le nostre vicissitudini. Le mie si limitavano ad un'infatuazione per una compagna di scuola, innamoramento che sublimavo ascoltando Venditti (avevo diciassette anni), mentre le storie di Mario erano decisamente più forti e dolorose rispetto ai miei turbamenti adolescenziali.
Mario era sposato, ma le cose non andavano bene. La moglie era poco appassionata, si dimostrava distante e spesso lo trattava male. Un giorno mi disse che le aveva comprato il disco 'Calore' di Renato Zero perché c'era la canzone 'Spiagge' che lei amava, ma nel dirlo si rabbuí e a testa bassa continuò a preparare l'impasto per la pizza. Mi disse che non sapeva più come fare per far sì che la moglie si riavvicinasse a lui, quel regalo avrebbe dovuto essere una prova d'amore, un gesto di attenzione per quella donna che amava sinceramente e che passava le giornate in spiaggia (appunto), mentre Mario lavorava davanti al forno, d'estate.
Lo vidi piangere mentre mi confidava il suo amore doloroso, un matrimonio finito. Io, che avevo un'esperienza in fatti sentimentali praticamente nulla, rimasi a dirgli frasi stupide ancor prima che inutili. Usai le parole di qualche canzone e un racconto di Bukowski, ma niente, non riuscí a consolarlo in nessun modo. Ricordo che mi guardò con un sorriso triste dicendomi che, a fine servizio, mi avrebbe preparato la pizza che più amavo. E infatti quella sera, verso mezzanotte, quando il ristorante stava per chiudere mi chiamò e mi diede la pizza che però mangiai senza particolare piacere. Mi sembrò di non essermela meritata davvero, anche se avevo lavorato duramente tutto il giorno. Rimanemmo a tavola in silenzio, ognuno con un certo senso di inadeguatezza, mentre il proprietario mi rimproverava continuamente di non avere pulito bene le oliere, cosa che avrei dovuto fare come prima cosa, il giorno dopo.