sabato 24 luglio 2021

Il pendolare fedele


Chiariamo subito un punto importantissimo: Il Pendolare fedele non è un libro di poesie illustrato; siamo di fronte a un dialogo tra due poeti che si scambiano suggestioni, lettere fatte di parole e di immagini, che tessono un colloquio intimo, raffinato. Non so chi abbia recapitato la prima missiva all'altro, ma non vi è dubbio alcuno che Luca Vannoni e Giorgio Bramante Donini hanno cominciato a parlarsi, e forse ancora più ad ascoltarsi, spinti da una tematica che costruisce la cornice intorno al loro lavoro: ovvero la pendolarità del movimento, dell'agire e dello sguardo; in sintesi dello stare nella fedele pendolarità quotidiana che regola il nostro vivere, segnato da polarità ben definite: casa, lavoro, famiglia.

Si tratta di movimento e di viaggi, anche se a differenza della mente del viaggiatore, il pendolare ha il privilegio di tornare sempre davanti agli stessi luoghi, di fronte alle medesime immagini. Il viaggiatore vive in relazione al viaggio, là dove non è la destinazione a darne il senso, bensì lo stesso viaggiare: «Sempre devi avere in mente Itaca (...) augurarti che la strada sia lunga» - affermò il poeta Konstantinos Kavafis -, dunque il viaggio è al contempo fine e causa dell'andare, non è importante giungere a destinazione, tuttavia è necessario e vitale il viaggio.

Il pendolare invece non viaggia, ma si sposta tra due punti, oscilla tra due polarità ugualmente magnetiche, sia pur dettate dalla necessità o dal desiderio, il pendolare parte perché sa che poi dovrà tornare; il suo spostarsi non è un ritorno né tanto meno un viaggio, ma un movimento scandito, già conosciuto, ripetitivo, metronomico e pertanto fedele. Eppure il pendolare ha un dono raro rispetto al viaggiatore, possiede il privilegio dello sguardo che, proprio perché ritorna ogni giorno sugli stessi luoghi, finisce col diventare sguardo fenomenologico; un vedere che mette tra parentesi il mondo per poterlo poi cogliere nella sua essenza più profonda, epoché husserliana, che coincide con un monolinguismo poetico in cui l'oggetto e la visione poetica coincidono proprio con lo stesso vedere, o meglio con l'indagine accurata di uno sguardo che non si accontenta di ciò che vede, perché è consapevole che ogni cosa osservata con attenzione finisce con il non assomigliare più a se stessa, assumendo connotati sconosciuti, aspetti misteriosi finanche insondabili e a tratti impenetrabili. Ed è per questo che agli occhi di un poeta un fiore non è mai solo un fiore, né il cielo è sempre il medesimo cielo, pur rimanendo nella loro apparente banalità solamente un fiore e il cielo.

Troverete nelle poesie di Luca Vannoni e nei disegni di Giorgio Donini la soglia che permette di muoversi al di là del visibile, un'immersione in un immaginario che nasce da un'osservazione continua, fedele appunto, dello stesso paesaggio: la strada che separa San Giovanni in Marignano da Rimini oppure la distanza che divide Pesaro da Urbino sono, a pensarci bene, la stessa siepe «che da tanta parte/ dell'ultimo orizzonte il guardo esclude»; sapendo bene che è necessario, anzi vera e propria conditio sine qua non, che si realizzi quel 'sedendo e mirando', ovvero quello stare in contemplazione dinnanzi all'oggetto o al paesaggio senza cui niente può darsi alla mente del poeta; nulla può nascere sotto forma di parola o di immagine senza la determinazione della vista e, concedetemelo, anche del cuore.

Ed è forse per questa volontà di uno sguardo che ritorna sempre davanti alle stesse immagini che, ne Il pendolare fedele, i due poeti disegnano scene, sipari e quadri nei quali emerge un forte senso (desiderio?) di equilibrio e soprattutto di temperanza; esattamente come nell'arcano maggiore dei Tarocchi, nel quale una figura femminile travasa dell'acqua da un recipiente all'altro senza lasciarne cadere una goccia, così le parole di Luca Vannoni si mescolano ai disegni di Giorgio Donini e, viceversa, il segno grafico di Giorgio s'innerva nei versi di Luca, lasciandoci testimoni di uno scambio che è circolare, non rettilineo, scambievole perché le immagini non sono illustrazioni delle poesie, né tanto meno le poesie sono didascalie della grafica d'arte: parole e immagini si rispecchiano le une nelle altre, nel perfetto equilibrio della composizione testuale e grafica, in definitiva nel vagheggiato ordine della bellezza.

Come forse saprete la poesia è tra i generi letterari meno frequentati dai lettori, vera e propria Cenerentola dell'editoria italiana, al punto che un libro di poesie che vende qualche centinaio di copie viene considerato a tutti gli effetti un successo editoriale. Allora viene da domandarsi, insieme a Holderlin, «perché i poeti nel tempo della povertà?»; ovvero qual è il compito, il ruolo che dovrebbe assumere non solo la poesia, ma anche il gesto, l'osservazione, l'attitudine poetica? Luca Vannoni e Giorgio Donini non sembrano avere dubbi: la poesia è cura e custodia, preservare per lasciarne traccia e memoria; «da conservare in uno scrigno levigato di cipresso», togliendo il punto interrogativo alla domanda di Orazio perché ne Il pendolare fedele la poesia nasce ancora una volta, una poesia che ci innalza al di sopra di questo servile attaccamento al denaro e ai beni materiali che contaminano gli animi; una poesia che ci innalzerà là dove dimora la spiritualità e dove la parola e il segno grafico abitano il luogo più alto a loro deputato: ovvero nella casa dell'ispirazione e dell'elevazione, vera e propria anima mundi, nella consapevolezza infine che davvero «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».