La noia non è altro che una mancanza del piacere,
che è l'elemento della nostra esistenza,
e di cosa che ci distragga dal desiderarlo
(G. Leopardi)
A
volte incrociare i dati e le conclusioni delle ricerche universitarie
produce nuove consapevolezze, ci si trova improvvisamente di fronte a
un punto di vista inedito che porta a sintesi inaspettate, a volte
illuminanti. È
il caso del risultato dello studio del dipartimento di scienze
sociali della Rutgers University del New Jersey che ha stabilito che
l'80% dei post che appaiono sui Social media riguardano esperienze
vissute nel momento stesso in cui vengono pubblicate. In sostanza vi
è una forte tendenza a far coincidere le nostre emozioni, ciò che
proviamo quotidianamente, con la condivisione in rete, come se il
filtro della nostra coscienza non fosse più dentro di noi, ma
all'esterno, ovvero sulle timeline dei principali Social network.
Affidiamo sempre più a Internet il compito di rielaborare i moti del
nostro animo, soprattutto attraverso la gratificazione dei “mi
piace” e dei commenti. A ciò possiamo aggiungere lo studio della
prestigiosa Harvard, che ha stabilito una forte correlazione tra il
compiacimento prodotto dalle nostre apparenti interazioni in rete con
il rilascio da parte del cervello di dopamina: la stessa che si
manifesta quando assaggiamo del buon cibo, pratichiamo sesso o ci
sottoponiamo ad un soddisfacente esercizio ginnico e sportivo.
La
conclusione appare evidente, cerchiamo (e troviamo) nella rete e nei
social media quella gratificazione fisica, ancor prima che
psicologica, che ci permette di sopportare la frustrazione della noia
e dell'attesa. Quello sguardo che posiamo su ciò che accade sugli
schermi dei nostri smartphone ha a che fare con il piacere rilasciato
dai nostri neurotrasmettitori cerebrali, poiché condividere
pubblicamente un'emozione viene ricompensato dal nostro cervello con
la somministrazione di un piccolo godimento, una breve scarica
elettrica di piacere. Quindi apparentemente nei Social cerchiamo gli
altri, sotto forma di comunicazione e di condivisione, mentre in
verità creiamo uno sguardo speculare che cerca e insegue solamente
noi stessi, la nostra immagine. Si parla sempre più diffusamente di
narcisismo digitale, ma non si riflette sul corollario che dal
compiacimento verso noi stessi conduce verso la fuga dal tedio, visto
sempre più come zona morta, da “riempire” ad ogni costo con
qualsiasi cosa, di qualsiasi tipo. Non resistiamo più di fronte
all'attesa, non sopportiamo più la contemplazione del vuoto: tutto
deve correre e scorrere, anche senza senso e direzione, pur di
evitare il silenzio e la noia. Quando i guru del marketing compresero
che ci doveva essere musica ovunque, perché ciò rendeva più facile
le transazioni commerciali, non si resero conto che non era tanto il
piacere di una bella canzone che predisponeva all'acquisto, quanto
piuttosto la distrazione che essa provocava nonché lo scivolamento
verso le emozioni. Ed infatti quando smettiamo di pensare e ci
abbandoniamo alla dittatura dei sensi, diventiamo tutti fragili
prede.
La
noia è vitale e salvifica, ci permette di scendere e scavare dentro
di noi, piuttosto che scivolare sulla superficie delle cose che
accadono. L'attesa dunque non è solo una porzione di tempo che
intercorre tra due eventi, ma è uno spazio fisico, una stanza che
abitiamo e in cui riconosciamo noi stessi. Dentro la noia non c'è
solo la privazione del piacere, bensì la ricerca dell'essenza, chi
sceglie quello spazio liminale dove non si è continuamente
sollecitati come in un luna park, sceglie di abitare se stesso ancor
prima della propria immagine. La noia è il silenzio, l'attimo
necessario che precede una finestra che si apre, l'aria che entra e
lo sguardo che ricomincia il suo viaggio.
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