sabato 29 agosto 2015

Elogio dell'incoerenza


Accusare qualcuno di essere incoerente è di solito un attacco piuttosto grave. Sulla coerenza è basata la rispettabilità pubblica e personale, da cui deriva l'affidabilità e il rispetto. Non ultimo, il prestigio sociale si guadagna se una vita ha seguito una direzione, magari non propriamente dritta, ma in ogni caso ben piantata sui solidi binari di scelte logiche e coerenti. Per questa ragione chi prende decisioni fuori dalla normalità è osservato come un Don Chisciotte, convinto di vedere giganti nei mulini a vento e cavalieri tra gli ubriaconi di un'osteria. Eppure bisognerebbe anche riflettere sul fatto che la coerenza è una specie di algoritmo, riproduce sempre la stessa operazione, replicabile all'infinito, mentre nell'incoerenza è racchiusa la vita, con i suoi sbagli, le sue lezioni.

Da sempre l'uomo costruisce il proprio ordine mentale, ponendo in essere la struttura della propria coerenza. Il fatto che ci ritroviamo a condividere gli stessi principi, oppure non ci sentiamo affatto in sintonia con un intero popolo, non significa nulla, poiché ciò che reputiamo essere giusto o sbagliato dipende dal tempo che stiamo vivendo e dalle coordinate storiche e geografiche della nostra vita. Non esiste il fondamento del diritto, esiste il tempo che tale fondamento modifica continuamente. E anche lo sguardo non è da meno. Se fossimo bendati e trasportati in un luogo diverso da quelli che tradizionalmente abitiamo e, all'improvviso, ci fosse riconsegnata la possibilità di vedere, cercheremmo subito scorci, paesaggi, dettagli o particolari utili per capire dove siamo e in che modo poterci relazionare in quell'ambiente. Il nostro osservare non si limiterebbe a produrre informazioni utili, ma ricostruirebbe sempre un ordine legato alla nostra personale esperienza, una mappa visiva e cognitiva: causa, effetto, azione, reazione. Per questa ragione la coerenza è un algoritmo, figlia scema della tecnica, ma sempre affidabile perché non sbaglia mai, e questo culla la nostra insicurezza, il bisogno di controllo e le paure di ciascuno di noi, persone che notoriamente errano, incoerenti. Se osserviamo ad esempio il modo in cui noi italiani, popolo migratore per antonomasia, trattiamo o consideriamo gli emigranti, dovremmo immediatamente cercare di capire perché per decenni abbiamo chiesto accoglienza e opportunità a popoli stranieri, ricompensandoli spesso con regali quali mafie e camorre, ed ora restituiamo quei doni ricevuti (nell'antichità l'ospite era sacro) con odio e rabbia nei confronti degli extra comunitari. Non esiste un luogo al mondo che non abbia cognomi italiani, eppure ci accaniamo contro i campi Rom e Sinti, come se fossero la radice di ogni male. E le parole d'ordine dell'odio sono "non pagano le bollette dell'acqua e della luce", come se il problema della legalità dovesse esser posto ad un'asticella così bassa. Non serve scomodare la coerenza, in questo caso, perché il problema è di umanità e disumanità, pertanto è una questione assai più grave.

Nel saggio Elogio dell'incoerenza il filosofo polacco Leszek Kolakowski afferma che di fronte a scelte egualmente valide ma che esigono una profonda e seria riflessione etica, essere incoerenti è l'unico modo per evitare di essere ideologici, dottrinari, ottusamente fedeli agli algoritmi. Cercare di essere sempre, in ogni caso e ad ogni costo, coerenti, significa in poche parole seguire il fanatismo, di qualunque fede, scienza o intelletto esso sia. "La progenie degli esitanti e dei deboli - scrive Kolakowski - di coloro che credono nella sincerità ma invece di dire ad un esimio pittore che è un imbrattatele lo elogiano educatamente, questa progenie degli incoerenti resta una delle grandi speranza per la sopravvivenza della razza umana".