Il
3 di luglio 2016 è stata smontata l'istallazione
the floating piers di
Christo and jeanne-claude. Dopo 15 giorni sono state circa un milione
e mezzo le persone che hanno raggiunto Monte Isola da Sulzano, a
piedi, camminando letteralmente sulle acque del lago d'Iseo.
Un'istallazione tra le più riuscite in termini di visibilità per
l'artista bulgaro-francese, di fatto un'opera d'arte al netto degli estimatori e dei critici, perché l'arte sa (e forse
deve) essere anche un'ammaliante seduttrice, una raffinata prostituta. Ma da
qualsiasi parte si osservi questo lavoro, non ci si può sottrarre
dalla domanda più spontanea e per molti aspetti banale, ovvero: a
che cosa serve oggi l'arte? Qual è il suo ruolo e in che modo
contribuisce a costruire ancora il nostro immaginario?
Vedere
The
floating piers e
le persone che l'affollavano ha provocato lo stesso stupore del
bambino che al termine della fiaba “i nuovi vestiti
dell'imperatore” pronuncia la frase: “il re è nudo”, scoprendo
l'inganno che tutti i collaboratori del monarca avevano inscenato per
non cadere sotto le ire del re. Perché il punto non sta tanto nel criticare
o elogiare il lavoro di Christo, quanto piuttosto nel chiederci se
sia opportuno che l'arte debba occuparsi solamente della ricerca della bellezza, dello stupore e della meraviglia, liberandosi dal peso
di dover interpretare la contemporaneità, oppure se il suo compito
debba essere altro, se la vocazione dei progetti artistici debba riguardare qualcosa di diverso, qualcosa di più vicino alla ricerca,
all'interrogarsi sul senso e sulla direzione delle umane cose. È
vero, se domani potessimo leggere sul giornale che un milione mezzo
di persone hanno visitato un museo in quindici giorni, grideremmo
tutti al miracolo e in effetti pochi hanno osato mettere in
discussione il successo dell'istallazione di Christo. Eppure the
floating piers sembra un'opera rivolta unicamente alla ricerca dell'emozione, della
sensazione del “vedere l'effetto che fa”, declinata verso la ricerca di una condivisione
sempre più perseguita in questi nostri tempi; quasi fosse un rito religioso, un mantra collettivo che si esprime nel poter dire di esserci o di non
esserci stati. Non a caso anche l'impatto mediatico che ha
accompagnato l'evento appare più vicino alle forme e alle dinamiche
dell'intrattenimento di massa, con una comunicazione del tutto simile
a quella usata per i parchi giochi. Del resto un milione e mezzo di visitatori in quindici giorni non sono numeri da sottovalutare, considerato anche che chi ha volutamente snobbato l'opera, criticandola per il forte impatto
ambientale, non è poi andato molto distante
da chi l'ha elogiata con toni misticheggianti. Di fatto chi ha denigrato the
floating piers ha
utilizzato le ragioni uguali e contrarie rispetto agli incensatori,
ma nessuno si è chiesto come mai l'arte stia assumendo sempre più le forme dell'intrattenimento e della spettacolarità o, paradossalmente, stia sostituendo sempre più i modi e le forme delle pratiche religiose, come la necessità del rito collettivo, dell'ascesi mistica e catartica.
Il
nemico dell'arte (se di nemico vogliamo parlare) non è tanto la massa, tradizionalmente sempre ben disposta a
lasciarsi coinvolgere nelle emozioni collettive, quanto piuttosto la costante necessità di alzare la soglia dell'effetto speciale, cercando di sfiorare sempre più il
limite di ciò che si può fare per un ulteriore grado di
stupore; come se fossero solo la meraviglia e il traffico sui social le misure per stabilire se un progetto artistico ha funzionato oppure no. In definitiva se insieme alla bellezza non sorgono anche delle domande, come veri e propri demoni che portano sempre
a interrogarsi e a produrre con urgenza delle risposte, allora forse
sarebbe il caso di ricominciare a pensare la funzione stessa dell'arte, il suo ruolo nelle dinamiche della modernità. E
questo non tanto per coltivare o incentivare uno spirito elitario o selettivo, quanto piuttosto per giungere alla consapevolezza che se l'arte non serve più a definire noi stessi, in relazione ai tempi che viviamo, allora forse è un'arte utile solo
per quindici giorni, utile ad emozionarci solamente per un breve lasso di tempo e poi destinata a svanire nel nulla, ovvero nei selfie sorridenti scattati sulle floating piers.
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