Honoré Daumier, Tiens peuple, tiens bon peuple
Stiamo
a
casa, confinati
nelle stanze a condividere un tempo che riacquista un senso e una
densità nuova
e
inaspettata. Il virus che ci impone
il ritiro
dal mondo, allo
stesso tempo ci
apre ad un altro mondo che, anche s’è
fatto
delle stesse cose
con
cui
abitualmente agiamo,
le
colora di sfumature diverse. Stiamo
a casa e siamo costretti a ridisegnare le nostre abitudini,
sopportare le nostre idiosincrasie e ritagliare spazi personali
che finiscono con l’essere inevitabilmente luoghi mentali. Un
rifugio forzato, forse un nascondiglio dove poter tornare a noi
stessi coltivando quello che i latini chiamavano otium
e che ‘ozio’ non era, poiché era tempo in cui ci si dedicava
alla casa, al podere o agli studi e da qui per estensione divenne
l’attività letteraria. Eppure in questo isolamento non siamo mai
del tutto soli, perché anche qui siamo invariabilmente raggiunti
dalla società pornografica che ci ricorda che dobbiamo continuare a
produrre, a lavorare per sostenere e per alimentare il Nuovo Capitale.
Il
primo segnale mi giunge
da Candy crash che m’informa che potrò giocare senza limiti, vite
infinite, che per uno come me cresciuto negli Ottanta è un paradosso
vicino alla fisica quantistica; e poi uno dopo l’altro ecco
arrivare
i doni del mondo
dell’intrattenimento:
Sky apre
tutti i pacchetti (sport e calcio per tutti), Mediaset ripropone la
saga di Harry Potter
e
ancora,
tra
buonismo e munificenza, s’inaugura una gara a chi dà di più, a chi regala ebook
o
solamente
sconti, i più tirchi. Si sa che il marketing deve essere
principalmente flessibile e cogliere opportunità dove si manifesta
la desolazione, perché una crisi è sempre un momento di passaggio,
o
più
propriamente un
passare attraverso,
quindi non è poi
così importante
potere superare un momento più o meno lungo di difficoltà, quanto
piuttosto il modo con
cui tale
crisi si
supera. Credo che sarà difficile far finta di niente quando tutto
questo sarà finito, sarà difficile dire a noi stessi che tutto sarà
come prima e tornare ad essere sempre gaiamente impreparati.
Vedere
un’opportunità
in
una crisi è il lavoro che svolge quotidianamente il capitalismo che,
esattamente come Crono, si nutre dei suoi stessi figli trasformando
quello che genera in cibo
per perpetrarsi e affermarsi come unica e indiscussa divinità. Ed
ecco allora l’atto del donare che, nella sua apparente gratuità,
pretende invece
un
corrispettivo morale e materiale. Nel
poter
vedere di più, possiamo
contemplare
le
forme dello spettacolo e dell’intrattenimento nell’illusione
perfetta della gratuità, ma è un omaggio che prevede il nostro
stare di fronte all’epifania
delle immagini, poiché
interagendo con i
dispositivi
elettronici o
sui Social Media, non
facciamo altro che
aumentare
il traffico
di dati in Rete e gli ascolti per l’industria
televisiva. Perché su una cosa occorre subito fare estrema chiarezza: un'immagine oggi non è solamente un'immagine, qualsiasi rappresentazione figurativa (video o immagine) che ci passa davanti agli occhi è, prima di ogni altra cosa, una merce, un prodotto che nel medesimo tempo produciamo e acquistiamo. Dunque 'poter vedere' di più è
un dono perverso che permette al Nuovo Capitale di monitorarci,
un
vero e proprio lavoro,
in
quanto il nostro guardare e interagire in
Rete produce
di
fatto ricchezza
che
si
crea quando
noi tutti spettatori spostiamo
il nostro sguardo da un contenuto ad un altro, posizionando i nostri
‘mi piace’ e i nostri commenti, condividendo e lasciando che
altri sguardi insieme ai nostri finiscano con il collocarsi al loro
posto nella
catena di montaggio del
vedere.
Siamo
contati in ogni singolo cambio dello sguardo su un nuovo contenuto,
sia esso un post curioso o l’ennesima replica di
un
film di successo, e i numeri che noi stessi creiamo servono per
vendere a un prezzo più alto la pubblicità. Ed è questo il modo con cui ricambiamo il dono perverso della società pornografica, lo paghiamo
con il nostro tempo passato davanti ad uno schermo. Uno scacco matto che ci vede nell'illusione di comsumare, mentre in realtà siamo gli ignari lavoratori: guardiamo e guardando produciamo ricchezza per il Nuovo Capitale che ci vuole fedeli e instancabili spettatori.
Nell’Antico
Regime era consuetudine in occasione di feste o anche festeggiamenti
privati, come
nascite o matrimoni,
elargire cibo o addirittura monete d’oro al popolo sotto forma di
lanci
dalla finestra di casa o dalla carrozza, rendendo
di fatto manifesta la verticalità del dono.
Naturalmente più il nobile che
elargiva era
in alto nella piramide sociale, più grande doveva essere
l’elargizione tant’è
che, ad esempio, quando nel settembre del 1751 nacque un figlio al
Delfino di Francia, vi furono feroci
tumulti
per afferrare le monete gettate al popolo che
era affamato e disperato.
L’atto
di donare, quando viene dall’alto in modo sfarzoso e scenografico,
manifesta superiorità e l’implicita accettazione della
subalternità di chi riceve. E non ultimo la semplice e amara
constatazione che le poche monete raccolte dal popolo non cambiavano
minimamente la condizione d’indigenza delle masse, ma
allo stesso tempo gettavano una luce di gloria perfetta sul nobile di
turno. Il
dono perverso
è un movimento che restituisce più
di quanto offre, nella perfetta illusione che
vede proprio
nel
dare l’atto
che consolida e rafforza la verticalità del potere e del comando. Il
potere non
assume
più la forma del totalitarismo politico ma quella più perfetta e
inattaccabile della dittatura del
consumo, davanti
alla quale siamo
veramente
tutti uguali, ovvero tutti
democraticamente
servi della società dello spettacolo.